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La Respirazione Olotropica
di Stanislav Grof

Respirazione 1/12/07


Sono uno sciamano indiano e ballo vicino al fuoco. È tutto buio e non vedo altro che il falò. Ho i mocassini beige con le frange ai piedi, i capelli bianchi legati in 2 trecce, la faccia rugosa. Mi faccio cullare dal ritmo della musica. Ho le mani come avvolte in un flusso di energia, le sento grandi e potenti. Vado a cercare il mio blocco allo stomaco, lo lavoro con le mani e vedo un fascio di luce che esce e va via. Lo faccio uscire anche dalla bocca facendolo risalire con le mani dallo stomaco. Poi la luce ritorna e rientra di me, ma va bene che sia così, la faccio fluire aiutandomi con le mani all’interno del mio corpo. Vedo una donna grassa di colore seduta davanti a me. Ha un costume giallo di Salvador de Bahia con un grosso turbante pure lui giallo con un fiocco in testa. Mi guarda e ride. Rido anche io. Tendo le mani verso di lei, ma non si muove. Capisco che non si muoverà verso di me, ma sono contenta lo stesso. Sono in una specie di bozzolo nero. Cerco di uscirne, è tutto nero intorno a me, non capisco perché ne sono uscita, stavo meglio dentro, vorrei ritornare. Mia madre non mi vuole. Piango, ho paura, sono spaventata e sola. Dico di aver paura, di sentirmi sola. Poi penso che quello sciamano sono io, che non ho bisogno di mia madre e questo mi dà forza. Sorrido. Sono di nuovo vicino al fuoco e ora a destra vedo un totem. C’è raffigurata una specie di aquila con un grosso becco/naso. È rossa e nera. Di nuovo il blocco alla bocca dello stomaco. Lo sento che sta lì fermo e non riesco a farlo uscire. È un serpente che si muove dallo stomaco verso la bocca . Intervengo la mia sitter ed Elisabetta. Ci spingo contro, faccio forza anche con i muscoli dello stomaco, piango poco e senza lacrime, è più un lamento che un vero pianto.Ricomincio a respirare. Sento una contrattura all’avambraccio sinistro. Lo tocco. La mia sitter ci spinge su e passa. Poi fitte dietro al collo, dietro la schiena, mi metto seduta. Sento la sitter col cuscino che fa pressione sulla schiena. Faccio forza, spingo per farlo fluire. Piango tanto, un pianto che viene dal profondo, è come se piangessi tutte le lacrime che ho sempre trattenuto e non ho mai pianto. Chiedo alla sitter di tenermi la mano, ho bisogno di qualcuno che mia sia vicino, che mi voglia bene, che si prenda cura di me. Vorrei che mi abbracciasse, ma non riesco a chiederglielo. Mi stendo sul fianco destro, metto la testa sotto la coperta e ricomincio a piangere come una bambina. Di nuovo il blocco allo stomaco. Cerco di farlo uscire dalla bocca. È come se tirassi una corda che però non finisce mai. Ce ne è tanta ai miei piedi. Poi capisco, la rimetto dentro e la faccio fluire dentro di me. Sorrido. Inizio a muovere le dita dei piedi, poi ruoto le caviglie e inizio a scalciare. Spingo con le gambe, faccio forza con la testa, mi agito. Poi mi calmo e subito ricomincio a spingere. Mi aggrappo al davanzale per tirarmi fuori. Sento di essere fuori dal materassino. La mia sitter mi ritira giù, io ricomincio a spingere, sento la sitter che oppone resistenza ai miei piedi, sento una presenza verso l’alto, capisco che è Elisabetta che fa pressione sulla mia testa, spingo, sono fuori. Sto bene. Mi metto di lato rannicchiata. Ho l’impressione di essere in braccio a mia madre, vicino il suo seno. Se alzo la testa posso sentire la sua presenza. Sono serena. Ho un’immagine della savana e di 2 uomini di colore sulla destra, forse Masai, hanno un mantello rosso e la lancia. Non riesco a muovermi da quest’immagine. Vorrei pilotarla, ma sono bloccata. Mi lascio andare. È come se ci fosse una telecamera che riprende dall’alto e si allontana sempre di più. La savana si trasforma in una foresta di abeti canadese, poi in una pupilla che diventa occhio, poi un pianeta. Non sono immagini ben definite, è tutto veloce. Poi tutto nero/blu notte. All’improvviso in alto a sinistra appare un fascio di luce chiara che scompare subito. Poi immagini di visi appena accennati. All’inizio ne ho paura. Sono come fantasmi. Poi li cerco, vorrei vederli di più e meglio, ma non ho controllo su di loro. Sento però che li incontrerò di nuovo in un’altra respirazione.


Respirazione Olotropica

Sono legata, rigida come una statua: mi viene da piangere. Poi sono in una cavità, nera, non così stretta, posso muovermi un po’, rotolarmi dentro; ma non respiro bene, qualcosa mi preme il torace e il petto; l’aria non entra bene nei polmoni, è poca. Ma è tutto completamente nero, non c’è nessuna via d’uscita. Sento lo sconforto della rinuncia: non ci sono possibilità di uscire da qui, mi rannicchio su me stessa e decido di restare qui. Proprio mentre decido questo mi sembra di intravedere qualcosa, un chiarore sulla mia destra, forse una via d’uscita. Ma non ho le energie sufficienti per spingermi fuori da quel buio: provo a mettere una gamba in direzione del presunto varco, ma niente. La colonna vertebrale mi duole, troppo. Mi giro, metto le gambe rannicchiate contro una parete, ma nulla, non riesco a fare nulla. Mi sento impotente. Ora però lo spiraglio luminoso è più chiaro, si apre e si chiude ad intermittenza, sembra uno sfintere meccanico, somiglia all’obiettivo di una macchina fotografica che si apre e si chiude. Finalmente sento una costrizione, un impedimento (qualcuno dello staff preme sulle mie spalle) e questo mi da’ la forza di reagire: spingo forte con i piedi e, nel momento dell’apertura del varco, esco fuori velocissimamente girando su me stessa come un cavatappi, come se con quel movimento riuscissi ad allargare maggiormente il varco.
Appena fuori si apre davanti a me un mondo pieno di colori e sento il mio corpo finalmente caldo, bollente quasi, e libero, senza più contrazioni: piango per la gioia e per la sensazione di liberazione. Un’energia immensa pervade il mio corpo ed esce dalla mia vagina e dai palmi delle mie mani; resto ferma ad assaporare queste sensazioni così potenti e così piacevoli, con le braccia e le gambe aperte: mi sento tutta “aperta”, l’aria che entra in me con grande facilità, come se avessi tolto un tappo dal canale del respiro; e mi pervade tutta. E’ bellissimo. L’energia che sento mi fa credere di essere sollevata da terra. Penso di avere un’aura intorno, e che si possa vedere anche dall’esterno.
Ci sono persone intorno a me disposte in cerchio, forse una tribù, che mi accudiscono, mi puliscono, mi venerano. Mi sento e mi vedo come un neonato, completamente ricoperto di oro, in un giaciglio di paglia. La tribù mi culla, dolcemente, passandomi di braccia in braccia, da una persona all’altra in questo circolo umano. Ci sono anche lingue calde di animali che mi leccano, umide e piacevoli. Poi mi depongono in un fiume, e vado, vado, lasciandomi trasportare dalla corrente.
Ora sono il capitano di un veliero in un mare scuro in burrasca; ma non ho nessuna paura, sconfiggeremo le onde. Sento di possedere una grande forza, un immenso potere.
Infine sono sotto una cascata d’acqua, fresca, purificatrice, stupenda.
Vedo l’immagine di un pulcino che esce da un uovo. Poi l’occhio di Dio, sopra di me. Mi sento in contatto con “l’alto”. Mi sento bene come non mai.

E’ stata la mia quattordicesima respirazione. Altre volte mi sono ritrovata in situazioni buie, di costrizione e di chiusura. Ma sempre ne emergevo tirata fuori da qualcuno, o da una corda, o da un angelo, o da due braccia possenti. Oggi qualcosa è cambiato: ne sono uscita con le mie forze e credo sia proprio questo che mi ha permesso di sperimentare quella sensazione di liberazione, di apertura e di potente energia che mi ha lasciata quasi estasiata e mi ha fatta sentire … “rinata”.
Mi sono domandata, in seguito a questa toccante esperienza, come mai fossi uscita da quel luogo scuro girando su me stessa come un cavatappi: ho domandato in giro e mi è stato detto che esiste un movimento particolare che viene effettuato durante l’estrazione del nascituro con il forcipe, che è appunto un movimento rotatorio.
La mia nascita, infatti, è stata piuttosto complessa: avevo due giri di cordone ombelicale intorno al collo e sono stata estratta con il forcipe. Mia madre ha richiesto l’anestesia.

In seguito a questa esperienza il mio umore è mutato. Avevo trascorso alcuni mesi precedenti in uno stato di profonda depressione e di forte ansia: paure, timori, chiusure, insofferenza nei confronti delle altre persone e agitazione, tanta agitazione. Poi, tutto è svanito. Le forze sono tornate, insieme alla fiducia, in me stessa ed in quello che mi circonda.

 

Roma, 15/04/07

Sono appena tornato a casa dopo il mio ventesimo seminario di respirazione olotropica. Già in precedenza avevo inviato una relazione, molto sintetica devo ammettere e a rileggerla bene, confezionata per autoinfliggermi l’idea, seppure interessante, d’ineffabilità dell’esperienza stessa. Il risultato, almeno quello che mi appare ora, a circa due anni di distanza, è che il momento in cui la scrissi, davo molta più importanza a quello che avrebbe suscitato in me la r.o. nei giorni, settimane o forse mesi che avrebbero seguito. Quello che non ho trovato scritto quindi, era cosa provavo al momento. Non mi ascoltavo quindi, e rimandavo, come spesso ho fatto nella vita, a tempi successivi, delegando il mio futuro a qualcosa d’ineffabile senza forma che il fato o il destino avrebbero plasmato col tempo. Ma il fato e il destino sappiamo che non esistono, e dietro l’ineffabilità piacevole dell’esperienza si celava minacciosa la mia paura. Esistono invece le persone, con le loro emozioni, pensieri e azioni che determinano la propria esistenza, che sia ascetica o materialistica, pragmatica o spirituale, felice o no, ognuno crea la propria.La coscienza ancora stava fregandomi, era lei che gestiva il mio pensiero.Stavo fermo, ancora fermo ad aspettare. Come fermo è un uomo in meditazione, fermo oltre la percezione del tempo, fermo lo yogi, fermo come la spiritualità che va anch’essa oltre la nostra percezione del tempo e dello spazio. Ma io ero fermo a contare il tempo interminabile degli attimi, mentre chi è fermo e non ha paura fa scorrere i secoli dentro il proprio respiro.
Ieri, durante la respirazione olotropica, ho provato la sensazione di essermi completamente disconnesso dalla mia mente, certo non ho visto o percepito realtà diverse, non ho provato sensazioni d’estasi corporea, forse ho solo percepito una sensazione di vuoto, ma definire percezione vuol dire sentire, e quello che ho provato era nulla, niente, vuoto assoluto, talmente assoluto da non poterlo descrivere o ricordare. Non c’era più la musica, lo spazio, forse nemmeno il mio corpo. La parte cosciente mi ha regalato una pausa da se stessa, un piccolo, impercettibile attimo di vuoto che non riesco nemmeno a ricordare.
Come si può d'altronde, ricordare il vuoto, dargli una forma.
Dare una forma al vuoto sarebbe come dare un colore all’acqua, e il colore che noi ne vediamo è solo un riflesso.
Ecco, questo mi sembra di poter affermare: la sensazione di aver provato una dimensione di vuoto è forse il riflesso della mia parte cosciente nel momento in cui ne sono uscito, una frazione di tempo infinitamente piccola che precede la trasformazione da uno stato all’altro.
Spero che ciò che ho scritto, che viene dal mio cuore, seppure difficilmente comprensibile, arrivi al cuore di qualcun altro.
A.

R.O. 3-4 Marzo 07

Oggi ero agitata, il mio mal di testa era scomparso ma avevo un po’ di mal di gola. Ero contenta di respirare con il mio sitter, sentivo che era la presenza di cui avevo bisogno, ma non so perché.
All’inizio della respirazione sentivo che non riuscivo ad entrare invece mi sono resa conto che già ero dentro. Un mal di testa pazzesco, mi sentivo la testa scoppiare, un forte fremito nelle gambe, sentivo il bisogno di spingere con la testa non so dove né perché ma dovevo spingere. Ho iniziato a sentire in me molta energia, molta forza soprattutto nel collo e nelle spalle, è iniziata la lotta. Non ho la netta distinzione tra la prima e la seconda lotta forse sono state tre o quattro. Ricordo che ero immersa in qualcosa di rosso vivo, carne viva pullulante, viscida, ero dentro un ammasso di carne, ma non la carne che si mangia era carne viva pulsante, sentivo che dovevo entrare, così camminavo a quattro zampe fino al punto in cui mi giravo ed intorno avevo tutta carne, tutto rosso. Mi sentivo stretta in una morsa tutto il corpo era circondato, dovevo lottare, non visualizzavo contro chi, istintivamente sentivo che dovevo lottare, dovevo uscire. Dentro sentivo un concentrato di rabbia, aggressività, forza e mi stupivo della mia forza, avevo bisogno di sperimentarla, c’è, ora so che c’è. Più sentivo resistenze intorno più sperimentavo la mia forza; poi mi sono sentita esausta sono crollata, sentivo tristemente di non avercela fatta, pensavo: mi sono arresa di nuovo a ciò che c’è fuori di me, non sono riuscita a mandarlo via. Avevo molto caldo, mal di testa, sembrava di avere la febbre, ero tutta sudata, sentivo la nausea. Continuando a respirare quell’ammasso di carne che mi stava intorno è andato a formare un corpo, un uomo, che mi stava addosso, ecco che ritorna, mi violentava ed io dovevo liberarmi di lui. Sentivo la forza tornare, dovevo mandarlo via, dovevo farlo ora, mi dovevo proteggere ora potevo, così ho ricominciato a lottare, questa volta contro l’uomo che non aveva volto ma io vedevo il suo corpo rosa, non mi dava fastidio il suo contatto, né il peso del suo corpo, sentivo il bisogno di sentirlo in quel momento, era un: vieni bastardo che ti faccio vedere io, fatti sotto. Poi mi avvilivo e ripartivo con più forza. Non so l’esatto ordine ma credo che poi Elisabetta mi abbia toccato lo stomaco e lì gridando forte sono scoppiata a piangere, in quel momento all’inizio non visualizzavo nulla poi man, mano vedevo ciò che accadeva nel corpo, vedevo il mio diaframma contrarsi e sentivo il dolore, partiva il grido ecco saliva qualcosa, un bolo rosa che dovevo vomitare, ma ci voleva tanta forza ed io mi sentivo esausta, e di nuovo contrazioni, spinte dentro me sentivo un peso, grida, tosse ecco stavo per vomitare, il bolo era in gola, poi ho realizzato che sarebbe uscito, avrei sentito l’odore, forse lo avrei visto, no non potevo , ho ingoiato ancora, mi è rimasta la nausea. Qualcuno si è steso dietro di me, bellissimo quell’abbraccio ne avevo proprio bisogno, poi dietro le spalle, proprio a me che mi terrorizza ciò che arriva da dietro e non posso vederlo. È stato stupendo sentire che da dietro può arrivare anche qualcosa di così bello e rassicurante. Mi viene da piangere mentre lo scrivo, pensa come è stato intenso. Credo fosse Elisabetta all’inizio, contatto femminile accogliente e rassicurante, un’esperienza nuova per me. Poi credo si sia steso il mio sitter e non mi sono sentita invasa, anzi ho sentito che potevo affidarmi anche ad una presenza maschile che forse non tutti sono violentatori quelli che vengono da dietro.
Poi sentivo come una spada infilata dietro la testa sotto la nuca, un dolore lancinante e più spingevo più mi faceva male però non riuscivo a gridare, devo aver iniziato a muovermi freneticamente sentivo il mio corpo come in preda ad un attacco epilettico proveniente però dall’esterno, come se mi stessero spingendo da tutti i lati, dovevo uscire da quel groviglio che mi stringeva e sballottava, ho iniziato a spingere con i piedi, ma avevo la sensazione che più mi agitavo più intorno a me queste membra mi chiudevano e scuotevano, non riuscivo a tirare su le gambe, mi sentivo debole, non ce la facevo a spingere, allora ho iniziato a sgusciare, strisciare, come un serpente o un essere viscido che deve sguisciare fuori attraverso un buco in modo fluido immerso in un liquido.
Ed io scivolavo, spingevo con i piedi e sentivo intorno al mio corpo una leggera pressione e come se le membra di questo corpo esterno si spaccassero al mio passaggio e lentamente uscissi fuori. Mi sentivo felice, quel contatto con quella pelle che sentivo su tutto il corpo mi piaceva, stavo uscendo attraverso un buco di una membrana aperta, lacerata ma questa volta non ero nauseata dalla fluidità del liquido intorno a me, mi sentivo PULITA. Potevo godermi quell’uscita senza giudicarmi e senza vergognarmi ero io, ero nata ed intorno a me c’erano dei visi che mi guardavano e sorridevano, erano felici per me, erano ombre buone.
Ho sentito il sitter che mi diceva che mi avrebbe riportata sul lettino, che bello sentire di dipendere da qualcuno che in quel momento è lì per te, che non sei un peso per lui, che non fa fatica a prenderti in braccio, che con affetto ti dà un bacio sulla tempia così spontaneamente, senza aver dovuto anelare, desiderare e infine chiedere pur di far capire che ne hai bisogno.
A questo punto mi sono ritrovata su una spiaggia hawaiana dove è comparso un gruppo gospel americano che cantava inni di lode, forse per la mia nascita, non so, e mi è vento da ridere tantissimo, perché mi chiedevo cosa ci facessero una decina di persone bianchi e di colore, su una spiaggia hawaiana con le loro tuniche blu con i collettoni bianchi, visto che faceva un caldo bestiale. E ho riso tanto finché è arrivato un gruppo di hawaiani con la tipica gonnellina che ballavano, cantavano e battevano le mani, ed io mi sono ritrovata con la gonnellina a ballare con loro, mamma com’ero felice e spensierata!
Ad un tratto una musica incantevole mi ha attratta, camminando, ho salutato tutti e mi sono diretta verso una foresta tropicale e ci sono entrata, mi stupivo perché non provavo paura eppure ero completamente sola, pensavo che infondo come prima poteva arrivare da qualsiasi direzione qualcosa di bello, gioioso, potevo conoscere questa tribù che suonava e che questa musica che non era certo accogliente, magari nascondeva una tradizione con un significato innocuo. Così mi addentravo in questa foresta, era umida c’erano rami, foglie ad un tratto mi sono sentita confusa, tutto ha iniziato a girare intorno a me, allora mi sono seduta e ho pensato ora mi fermo e vedo cosa succede, è arrivato un vento e ha portato via un po’ di cose, soffiava con intensità eppure mi sfiorava, non era una burrasca, ma un vento pulitore, sorridevo e aspettavo, non so cosa. Intorno a me tutto si è confuso e mentre il vento soffiava mi sono apparse le immagini di due stanze vuote con le pareti completamente bianche e qui ho pianto perché ho riconosciuto quelle stanze. Ho pianto la mia difficoltà a chiudere le situazioni, a mettere un punto, a vivere con serenità i percorsi che finiscono, non riesco a pensare a ciò che inizierà, tendo a fissarmi su ciò che finisce anche se poi difficilmente sfogo ciò che provo. Tendo a trattenere e mi distraggo per non metabolizzare la FINE. Ero lì e aspettavo, non so cosa. Poi non ricordo più nulla.
A.

 

Respirazione Olotropica

Cleopatra: sono Cleopatra, la regina del mondo, la donna piu’ bella del mondo (sono la cleopatra della serie TV “Roma”). La parete che ho davanti e’ decorata con dei geroglifici, e’ una porta. Io voglio entrare, voglio che si apra. Ma sono stato buttato fuori. E’ la porta del regno dei morti e non posso varcarla. Provo a sfondarla con i pugni, ma non si apre. “Perche’ non mi vuoi?”, continuo a ripetere, “Io sono Cleopatra, la regina del mondo, la donna piu’ bella del mondo, perche’ non mi vuoi?”.
Il mio corpo si appiatisce contro la parete e mimo alcuni geroglifici. Devo vivere, mi dicono, mi mostrano dietro a me una vallata con un sentiero. Inizio a percorrerlo, ma mi dico che sono gia’ arrivato molto lontano su quel sentiero.
Ballo, sono la donna piu’ bella ed attraente del mondo. Cerco di sedurre questa figura maschile.
Sono anche in viaggio, su una lettiga, che mi rotolo sul mio materasso in preda alle visioni perche’ ho fumato troppo oppio. La mia vestale butta via la mia pipa (scena identica alla serie TV).
Parto: vedo un canale con la luce infondo. Urlo, mi manca l’aria, vado avanti, esco. Vedo l’ostetrica (ne ho piu’ la sensazione della loro presenza che una visione nitida), vedo mia madre, ho la sensazione che mi tolgano qualcosa dalla bocca, urlo e tossisco assieme, cerco di liberarmi la gola. Dopo un po’ di tempo il bambino apre gli occhi.
La sensazione e’ che non sia terminato il parto, come se dovessi ancora rivivermelo in future respirazioni.
Sesso: l’immagine di una pin-up anni 40’, e’ una donna famosa, credo la prima pin-up in assoluto. Molto formosa. Porta la frangia nera e i capelli fino alle spalle. E’ distesa con le gambe allargate, ed e’ nuda. Io le mordo l’inguine e glielo strappo via.
Faccio sesso con lei. Inizio con il leccarle il clitoride, la faccio godere. Poi la penetro, mi dice che sono bravo. Ma non ho la sensazione di essere sopra di lei, continuo a vedere la sua immagine distante, davanti a me.
In seguito penetro un uomo (ricordo di avere avuto una sensazione di sollievo) e poi lui mi penetra.
Vedo varie fessure, per lo piu’ si rivelano essere vagine, una toppa di una porta e un ano.
Morgan: sono il cantante Morgan dei blu vertigo. Ricordo un intervista in cui lui e la fidanzata Asia Argento dichiarano di mettersi lo smalto a vicenda. Lui e’ una figura molto ambivalente, con i capelli tinti, che si trucca, e si mette lo smalto. Mi dico che forse potrei essere bisex come lui.
Piani orizzontali: vedo molti piani orizzontali (nella respirazione precedente in cui rivissi il parto i piani erano sempre verticali, come dei corridoi stretti che stavolta sono verticali). Vedo i pianeti, le stelle, l’universo. Un luogo al polo, come una grotta con delle stalattiti e delle stalagmiti, che si apre sulla notte, sulle stelle. Sembra una bocca.
Strapiombo: vedo uno strapiombo diverse volte durante la respirazione. Ogni volta da diverse angolature. La parete a volte e’ coperta di vegetazione, altre di acqua. C’e’ una roccia che esce fuori da questa parete. Ci sono degli animali che sono bloccati, non possono proseguire. Sono come immobili. Ci sono sicuramente due cavalli bianchi e dei leoni.
Cerimonia del feto: sono un feto che viene bollito in un pentolone (assumo la posizione del feto e tremo). Sono in un villaggio ed e’ notte. Degli uomini con delle maschere nere e alte raffiguranti animali (dei egizi?) mi ballano attorno. Poi mi mangiano. Io urlo. La mia anima si e’ distribuita in piu’ persone. Ho sete di vendetta, riscatto. L’unico modo per recuperare la mia anima e’ uccidere i 20 uomini che mi ballavano attorno, o le loro reincarnazioni. Pronuncio due volte la frase: “20 urla che non verrano mai urlate”.
Cadavere: sono un cadavere sotto terra, vengo mangiato dai vermi, non rimangono che le ossa. Anche il mio corpo ed il mio viso si contorcono. Sembro l’urlo di Munch. “Non ho piu’ l’anima, non ho piu’ l’anima” ripeto “sono rimaste solo le ossa”.
Occhi/quadri: vedo degli occhi. Prima una collana di occhi, poi diversi occhi, poi delle facce, come fossero quadri cubisti. I visi sono assemblati in modo strano, il naso e’ sopra gli occhi o di profilo. Come guardassi una tela nera dove compaiono e scompaiono questi diversi visi ai vari lati della tela. Poi vedo dei visi come l’urlo di Munch, sono molti, uno accanto all’altro, come degli angeli urlanti, decadenti (ho dipinto un quadro molto simile).
Vedo altri occhi in altri momenti della respirazione. L’occhio di Sauron del Signore degli Anelli, un occhio cattivo. Poi anche un occhio benevolo.
Mutante: sono uno dei mutanti cattivi degli x-men. Sono la donna che puo’ assumere tutte le sembianze che vuole. Sono tutti e non sono nessuno. Sono dalla parte del bene e del male. Sono polivalente ma non ho anima.
Albero: mi vedo come un albero con diversi rami. L’albero e’ marrone. C’e’ un ramo sulla sinistra, sotto gli altri rami, che e’ rosso e prende l’energia, il colore, agli altri rami. Il ramo rappresenta le mie insicurezze, la mia adolescenza da debole. Voglio strapparlo ma non ci riesco da solo. Mi chiedo chi possa aiutarmi a farlo. Evoco mio padre che mi aiuta a strapparlo (e’ il momento durante al respirazione in cui mi alzo sulle ginocchia e faccio un urlo liberatorio). Il ramo non si stacca completamente. So che ci vorra’ del tempo, deve seccarsi prima. Dovro’ stare attento a che non si riattacchi nel frattempo. Penso anche che potrebbe ricrescere e percio’ metto una guaina nera sopra il taglio per evitare che ricresca. Evoco un episodio brutto della mia adolescenza dovuto all’esistenza di quel ramo che diventa la guaina nera che mi serve.
Dal taglio esce della resina, come un gel dorato che brilla, la prendo e la spalmo sugli altri rami perche’ si colorino.
Voglio provare a tagliare anche l’ultimo pezzo. Per farlo evoco diverse donne che vengono con delle forbici d’oro. Ci sono Elisabetta, Fiamma, Zia, Nonna , Paola e Mamma. Proviamo a tagliare, ma non sono sicuro che ci siamo riusciti.
L’albero ha un orifizio dietro il tronco da dove defeca delle buste di plastica bianca.
Sono in mezzo alla foresta con altri alberi ed io abbraccio il mio.
Fonzie: sono un adolescente capobanda negli anni 60’. Ho la gelatina in testa e porto un giubbino di pelle, tipo Fonzie in “Happy Days”.
Delfino: in una delle mie vite passate sono statao un delfino. Nuoto in mare. Ho avuto dei figli e sono morto di morte naturale.
La papera e la gazza: vedo una papera che si aggira per il deserto egizio. Sullo sfondo ci sono le piramidi. La papera porta gli occhiali ed ha la particolarita’ di inghiottire le persone come fanno i boa. C’e’ anche una gazza sua amica, anche lei porta gli occhiali da sole, ma quelli da diva con le punte all’insu’. La gazza lancia uova-bombe mentre e’ in volo, come un bombardiere.

 

Esperienza di una respirazione olotropica

Appena inizio a respirare, sento tremare internamente le mie mani ed una sensazione di freddo e di paura va crescendo dentro di me. Improvvisamente, senza neanche accorgermene, mi ritrovo a pochi mesi di vita dentro il mio lettino. Cerco costantemente e disperatamente il contatto fisico con mia madre ed ogni volta che si allontana da me, mi sento abbandonato e disperato e faccio di tutto per richiamarne l’attenzione. Poi vedo la sua faccia che mi guarda dall’alto e mi tranquillizzo; quello che però desidero con più forza è il contatto fisico con lei, la costante rassicurazione della sua presenza. Perché non mi tiene sempre con sé? Mi sento spesso abbandonato e impotente perché non posso muovermi, né posso richiamarla se non piangendo e magari manifestando la necessità di essere cambiato. Non riesco proprio a capire perché non mi tenga sempre con sé…
Successivamente mi trovo più grande di età a dover competere per il suo affetto con due fratelli più grandi ( vedo un simbolo a V ) e penso di dover fare cose straordinarie per conquistarla; penso di non poter essere me stesso, perché ciò potrebbe non essere sufficiente e mi impegno ad eccellere sempre e comunque ed in ogni circostanza…Alle volte vorrei uscire da me stesso perché ciò che sono, non sembra essere sufficiente per avere l’amore assoluto ed unico che vorrei! Uscire da me stesso, sì, voglio uscire perché non mi piace come sono, non basta!

(Devo alzarmi per andare al bagno). Al mio ritorno alla respirazione, la scena cambia totalmente e mi ritrovo disteso per terra, nella polvere e in piedi davanti a me c’è un Samurai giapponese che mi ripete con la scimitarra in mano che sono un verme schifoso e non merito di vivere. Poi mi squarta davanti e forse mi cava gli occhi…
Ci sono case con tipici tetti giapponesi e mi guardo intorno.. Poi vedo un bambino che medita con un vestito arancione e la testa rasata…Compare e scompare…Successivamente vedo un cinese con poca barba sul mento ma senza occhi…Un fiume lungo che si insinua tra montagne e colline…

(Devo alzarmi per andare al bagno). Al mio ritorno alla respirazione, la scena cambia ancora…Vedo un fungo grande e vicino un grande edificio metallico, intorno altri edifici mai visti…forse del futuro o forse di un altro pianeta..non so…Vedo ancora il fungo e vicino un tavolo illuminato…dei francescani appaiono e cambia la scena…guardo in alto.. vedo angeli che mi guardano…, ali che si muovono armoniosamente e sento forte una presenza spirituale ed un grande Amore che tutto sana, che tutto accoglie, che tutto ama…e sento che è per questo che vale la pena di vivere…

Maschere africane, né belle né brutte…non mi danno particolari sensazioni…piramidi Maya…montagne…acqua….vedo tutto in volo….visioni di vario genere si affacciano davanti a me….sono stanco….la mia Anima vuole finire qui…e ritorno in superficie…Mi sento diverso, più integrato, con dei contenuti che col tempo metterò più a fuoco, capirò meglio poi, per ora mi sento appagato…può bastarmi…mi sveglio.

Il respiro luminoso - Un viaggio negli stati alternativi di coscienza

Mi chiamo Momi Zanda, ho 47 anni e vivo a Cagliari. Alcuni anni fa, nella speranza di risolvere una serie di disagi che più o meno da sempre caratterizzavano la mia vita, e col desiderio di ampliare la conoscenza di me stesso, decisi di intraprendere una psicoterapia basata sull’ipnosi regressiva.
Il 17 settembre del 2001, proprio nei giorni in cui il mondo era scosso dall’attentato alle Twin Towers, arrivai a Roma per iniziare la mia esplorazione negli stati alternativi di coscienza con la mia prima seduta di ipnosi. Come prevedevo, mi scontrai subito con i miei blocchi e le mie resistenze. Il mio scetticismo e la mia razionalità o, detto in altro modo, la mia incapacità di fidarmi di qualcosa che non conoscevo, mi impedivano di entrare in quello stato di rilassamento e di apertura che favorisce la trance. Ero di fronte a un universo le cui coordinate mi erano sconosciute e di cui non capivo il linguaggio, e la mia necessità di mantenere sempre il “controllo” su me stesso e sulla realtà che mi circonda non consentiva che emergessero dal mio inconscio e dalla mia memoria quei contenuti che avrebbero potuto aiutarmi nel mio percorso di autoguarigione. Dopo la terza seduta la mia terapeuta espresse con molta efficacia in una semplice frase quello che da tempo ben sapevo di me stesso: «Lei si è costruito una corazza razionale talmente resistente che ci vorrebbe una carica di dinamite per farla saltare.»
Mi suggerì di provare una tecnica di respirazione che secondo lei avrebbe potuto aiutarmi, e la mattina dopo mi ritrovai a casa di Elisabetta Corberi che, visto che mi fermavo a Roma solo per pochi giorni, si era resa disponibile ad accompagnarmi in una respirazione olotropica individuale, al di fuori dei suoi soliti seminari.
Ero assolutamente impreparato. Avendo frainteso le parole della mia terapeuta, ero convinto che avrei semplicemente imparato una tecnica di respirazione che mi avrebbe aiutato a rilassarmi meglio e a rendere di conseguenza più efficace l’induzione ipnotica nelle sedute successive. Ascoltando le spiegazioni di Elisabetta compresi invece che mi apprestavo a compiere un vero e proprio “viaggio” nelle profondità di me stesso. Fui dunque preso alla sprovvista — per fortuna! — e questo impedì che le mie solite resistenze si attivassero. Quando la respirazione cominciò, senza pensare a nulla mi concentrai totalmente sullo sforzo di riuscire a seguire il ritmo respiratorio suggeritomi da Elisabetta ed entro pochi minuti quella respirazione apparentemente così innaturale iniziò a venirmi spontanea. Quasi subito cominciai ad avere delle allucinazioni assolutamente realistiche. Volti di vecchi indiani d’america dall’aria saggia e ieratica, e di sciamani africani col viso dipinto, comparvero davanti al mio schermo visivo come se li avessi avuti realmente di fronte a me. La loro apparizione improvvisa fu leggermente inquie­tante, ma i loro sguardi erano penetranti e benevoli. Pareva volessero dirmi qual­cosa. Forse si erano presentati per invitarmi a non aver paura, a lasciarmi andare fiduciosamente a quel rito iniziatico. Ero pronto ad accettare il loro invito. Il viaggio era incominciato.
Il respiro fluiva liberamente nel mio corpo, entrando dalle piante dei piedi nudi come un soffio rinfrescante e vivificante. Dai piedi scorreva fino alla testa, come una leggera scossa elettrica, sciogliendo al suo passaggio, con un po’ di difficoltà, i blocchi e le tensioni muscolari. Nonostante avessi gli occhi chiusi vedevo il mio corpo attraversato dal respiro che ben presto divenne un fascio ininterrotto di fibre luminose, verdi e gialle, che mi avvolgeva dinamicamente. Cominciai ad inarcare la schiena, il collo, la nuca, per facilitare lo scorrimento di quelle fibre luminose e lo scioglimento dei blocchi che sentivo in alcune parti del corpo. Elisabetta intervenne discretamente, aiutando quel processo con leggeri massaggi in alcuni punti delle spalle e della nuca.
La percezione della mia fisicità era acutissima. Sentivo la musica pervadere il mio corpo e fondersi con esso. Pur restando sdraiato, presi a danzare al ritmo in­calzante della musica, abbandonandomi completamente a quel ritmo. Io stesso ero la musica. Molto presto mi resi conto di essere una donna di colore, un’afri­cana. Il mio corpo era diventato femminile, le mie movenze erano femminili. La parte cosciente del mio io, che osservava per tutto il tempo l’esperienza, pensò che si trattasse della memoria di una mia vita precedente, tanto era forte la mia identificazione con le sensazioni e le emozioni di quella donna, ma mi dissi an­che che in quel momento non aveva la minima importanza razionalizzare, tro­vare una spiegazione oggettiva di quel che mi stava accadendo. Continuai a dan­zare con movimenti sempre più sensuali. Vedevo davanti a me bellissimi corpi nudi di uomini di colore che mi suscitavano un intenso desiderio sessuale, e co­minciai a muovermi ritmicamente e sempre più velocemente lasciandomi trasci­nare in una sorta di danza erotica con uno di loro.
Non riuscendo a reggere a lungo quel ritmo incalzante, rallentai la respirazione, e scivolai in uno stato di leg­gero torpore simile al dormiveglia. Nuovamente volti di vecchi saggi indiani o africani, e maschere tribali, comparirono davanti al mio sguardo. Poi davanti a me si spalancò uno spazio cosmico di una profondità inimmaginabile del quale mi sentivo parte integrante. Da lontananze abissali una figura mi si fece dinnanzi. Era il volto enigmatico di un giovane, o meglio un adolescente, con gli occhi scuri e penetranti, circondato da una lumi­nescenza divina. Mi sorrise e mi guardò con dolcezza, permettendomi di spec­chiarmi nel suo sguardo. Non potei fare a meno di esultare nell’attimo stesso in cui lo riconobbi, esclamando dentro di me: «È il mio bambino interiore!».
Gran parte della mia vita era stata tormentata dalla estenuante ricerca negli altri uomini (io sono gay) di quella che non era altro che una parte di me stesso. Ora capivo che quel bambino era dentro di me, lo avevo ritrovato, mi riconciliavo con lui attraverso quel sorriso e quello sguardo incantevoli coi quali mi si presentava di fronte. Finalmente non ero più costretto a cercare perennemente all’esterno qualcuno che potesse rispecchiare quella parte di me. I volti dei vecchi saggi mi avevano aiutato a ritrovarla nell’unico posto dove andava cercata: dentro me stesso, nel mio sé. Il vecchio saggio e l’eterno fanciullo si erano riconciliati in quella dimensione fuori del tempo e da allora avrebbero fi­nalmente potuto convivere armonicamente senza costringermi a un’impossibile scelta tra l’uno o l’altro.
Il volto numinoso scomparve lasciandomi una sensazione di pienezza e di soddisfazione, di unione mistica col tutto.
Accelerai nuovamente il ritmo del respiro, consapevole che il mio viaggio era solo all’inizio. Mi ritrovai all’improvviso in un canale oscuro, che mi avvolgeva. Respiravo con difficoltà, mi sentivo soffocare, ero spinto in avanti ma il canale era troppo stretto e non riuscivo ad avanzare. All’improvviso compresi di essere nel canale del parto. Stavo per nascere. Iniziai a spingere con forza con la testa e con le reni per uscire. Non era certo una situazione piacevole ma non ero spa­ventato, né preoccupato. Sapevo solo che dovevo uscire di là prima possibile. Pensai che mia madre stava soffrendo e quindi dovevo fare in fretta. Spinsi sem­pre più forte. A quel punto Elisabetta mi posò delicatamente le mani sulla sommità della testa, tenendola ferma. Mi avrebbe poi spiegato che lo aveva fatto per evitare che mi facessi male schizzando in avanti, come spesso succede a chi sta rivivendo quella fase del parto nel momento in cui esce. Io invece interpretai il suo gesto come un invito a calmarmi, e quindi interruppi di colpo l’esperienza. Avevo il corpo indolenzito per lo sforzo fatto, e mi concessi alcuni minuti di ri­poso. L’osservatore cosciente ne approfittò per riprendere a rimuginare e a elu­cubrare.
«Non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo, non sono riuscito a na­scere» si disse con la sua antica tendenza a vedere le cose in negativo e a svalu­tarsi. Ma subito un’altra voce dentro di me lo contraddisse con decisione: «Ma io sono già nato!»
Immediatamente il buio che mi aveva circondato nel canale del parto divenne luminoso. Ero un bambino appena nato. Sentivo le mani e i piedi piccolissimi, come quelli di un neonato. E di un neonato erano anche le smorfie che istinti­vamente presi a fare con la bocca. «Sono appena nato! È una cosa bellissima!» pensai. Era una sensazione fantastica. Cominciai a tastare il mio corpo con le mani, percependone anche fisicamente la piccolezza. Avevo una voglia enorme di esplorare la vita. Davanti a me vidi distintamente una porta bianca, di un bianco avorio. La porta si spalancò quasi immediatamente su un paesaggio di campagna di fine estate, dove predominavano il giallo e l’oro. Poi mi proiettai a velocità vertiginosa, come un uccello in picchiata, verso montagne boscose e altri idilliaci paesaggi naturali ricchi di acqua e di verde. «Dunque è questa la vita!» pensai. «È dav­vero meravigliosa.»
Provavo una gioia immensa, raramente sperimentata in altre occasioni. La vita mi apparteneva, e io ero dentro la vita. Non c’era nessun problema. Non c’era spazio per ansie e tensioni. Mi sentivo totalmente libero e felice.
Anche quando la montagna boscosa che vedevo davanti a me prese fuoco e una lingua di altissime fiamme la attraversò rapidissimamente dal basso verso l’alto, non persi minimamente la mia estatica serenità. Pensai subito alla meta­fora buddista che paragona la terra a una casa in fiamme, perché così la vedono i comuni mortali, mentre in realtà è la terra del Budda, eternamente tranquilla e indistruttibile. Sapevo che la montagna non stava davvero bruciando e che quel­le fiamme non potevano farmi del male perché erano solo le fiamme dell’illusio­ne, immateriali e irreali.
Questo pensiero non fece che aumentare la mia gioia. Percepivo l’energia uni­versale che mi circondava. Con le palme delle mani aperte riuscivo a catturarla, e a inviarla come fasci luminosi concentrati sulle persone amate a cui mi veniva da pensare. Mi sentivo unito al tutto, capivo che la mia vita era molto più vasta e più profonda, più ricca e più misteriosa di quanto riuscissi a percepire nella mia quotidianità, e desideravo che chiunque potesse avere quella stessa comprensio­ne e sperimentare quella gioia incondizionata che stavo sperimentando io. Con­temporaneamente, ero pienamente consapevole dei limiti del mio ego e del diffi­cile cammino che avrei dovuto fare per riuscire a superarli definitivamente e a stabilizzare nella mia vita quel senso di unione cosmica e quella gioia che in quella condizione alterata di coscienza mi era così facile provare.
Sentivo comunque una gratitudine incontenibile per quella vita universale che mi aveva permesso di nascere e che ora mi aveva concesso quella rara e ina­spettata esperienza della totalità del mio essere.
Uscendo da quella sorta di nirvana, ripresi il contatto con il mio corpo. Fisi­camente mi sentivo benissimo, rilassato e insieme pieno di energia. Erano passate due ore e mezzo dall’inizio della respirazione, ma soggettivamente mi erano sembrate meno della metà. Elisabetta mi chiese se volevo continuare o se pensavo di avere già concluso il mio viaggio. Una parte di me pensava di non avere esplorato fino in fondo alcuni dei temi che erano emersi nel corso della respirazione, ma il viaggio era stato indu­bitabilmente intenso e curativo, un’esperienza di presa di coscienza e di rinascita psichica al di là di quanto avrei mai potuto aspettarmi. Perciò decisi di non stra­fare. Riaprii gli occhi, mi sedetti prendendomi alcuni minuti per tornare piena­mente alla normale realtà e comunicai a Elisabetta che bastava così, che il viag­gio per quella volta era finito.
Questo è stato l’inizio. Dopo quella prima respirazione ho continuato la mia esplorazione utilizzando sinergicamente la respirazione olotropica e l’ipnosi (oltre che la meditazione buddista che pratico da oltre vent’anni, basata sulla recitazione di un mantra, Nam myoho renge kyo). Come tutte le imprese “importanti”, il mio viaggio negli stati alternativi di coscienza non sempre è stato facile. Ho dovuto scontrarmi con le mie resistenze più profonde, con i blocchi apparentemente inamovibili radicati nella mia personalità, con lo scetticismo, con la paura di “vedere” me stesso per quel che realmente sono.
Gradualmente sono riuscito a crearmi una mia mappa personale, ovviamente imperfetta e imprecisa e sicuramente tuttora provvisoria, che però mi ha consentito di proseguire la navigazione. E una scoperta sicuramente fondamentale è stata rendermi conto che gli stati alternativi di coscienza non sono nulla di “anormale” o di fuori dall’ordinario. Sono semplicemente degli stati “naturali” ai quali normalmente non siamo abituati, che non conosciamo e nei quali dobbiamo solo imparare a muoverci per poterli utilizzare nel modo migliore arricchendo così la qualità della nostra vita.
Grazie a questa comprensione, dopo un anno dall’inizio del mio percorso le mie esperienze si sono approfondite e ampliate. Ho iniziato a ricordare e a rivivere quelle che sembravano essere delle vite precedenti: un frate medievale, una sacerdotessa egizia, uno sciamano africano, uno schiavo dell’antica Roma, un giovane ebreo berlinese internato nel lager di Dachau, e molte altre. L’ipnosi mi aiutava a esplorare i dettagli e i sentimenti di queste molteplici identità da cui io sono formato, mentre la respirazione olotropica mi permetteva di trascendere la mia finitezza di individuo e di percepire e comunicare con una vita più grande, un mio sé più profondo che di tanto in tanto arrivava a coincidere con il sé universale.
Oggi mi rendo conto di avere fatto degli enormi passi avanti nel mio processo di individuazione, nella realizzazione di me stesso e delle mie potenzialità. Avendo sciolto parecchi dei nodi che mi imprigionavano, ho molta più energia a disposizione per affrontare la mia vita quotidiana e portare avanti i miei progetti, ho un approccio con gli altri e con l’ambiente molto più rilassato e fruttuoso, e la qualità della mia vita è migliorata in maniera avvertibile anche dagli altri.
Il mio viaggio, ovviamente, continua: ho iniziato a frequentare una scuola di ipnosi di Torino, col desiderio di potere a mia volta accompagnare altre persone nei loro viaggi, pensando che probabilmente non è importante la destinazione, la meta che ognuno si sceglie, ma che per noi esseri umani “il viaggio è la meta”.

Sergio: prima esperienza con l’Olotropica

Il timore principale, prima di iniziare, è quello di una eventuale esperienza fortemente negativa dal punto di vista psicologico o ancor peggio con manifestazioni di vomito o cose simili; probabilmente accentuato dalla fase di preparazione in cui, durante la scelta delle coppie di lavoro, ho la sensazione di essere rimasto solo. Capisco che la situazione è provocata da me, ma non avendone una coscienza se non vaga, mi rimane una certa apprensione. In ogni caso non ritengo di dover comunicare tutto ciò: mi riservo di mantenere una certa fiducia nel futuro in fondo poi tutto si può aggiustare in qualche modo.

Inizio decidendo di associare al respiro il colore verde, ma non riesco a seguire approfonditamente le indicazioni suggerite da Elisabetta. Poi però, poco dopo l’inizio della musica (che mi aspettavo diversa da come poi è stata) iniziano le prime sensazioni: una specie di dolore all’altezza dello sterno sempre sopportabile e un formicolio molto forte alle mani e leggermente più debole a ginocchia e piedi. Che fare? Meglio decidere prima cosa non fare.

Non cerco di eliminare il dolore, anche se ritengo sia un segnale negativo di qualcosa che prima o poi dovrà essere risolto; quasi subito capisco che il formicolio, che ormai a rivestito le mie mani di guantoni paffuti e sensibilissimi, sarà qualcosa da usare come uno strumento a mia disposizione. Gli attribuisco una potenzialità terapeutica.

Nonostante ciò avvicino poco le mani allo sterno, continuo a respirare, sento il ritmo suggerito da Elisabetta ma non riesco a tenerlo, il mio ha una frequenza più bassa, temo che non possa andare bene ma i guanti alle mani e le ginocchiere aumentano la consistenza: va bene così, ogni tanto ho momenti di esaltazione, mi rendo conto che si possono fare parecchie cose, sono eccitato e ormai non mi preoccupo più del dolore allo sterno. Penso che sia solo un punto di sfogo e potrà essere usato come un semaforo o un segno che mi indicherà i momenti di passaggio o quando è il momento di cambiare obiettivo.

Avviene proprio questo: il dolore svanisce gradatamente e sento due grumi ai lati dell’ombelico. Questi li tratto con le mani: li faccio uscire, e anche con una certa facilità e a questo punto mi sento pronto per altro…

Qualcosa esce dalle mani che esplorano senza toccare, i guantoni vibranti avvertono qualcosa di invisibile, sono in grado di capire qualcosa relativo allo spazio intorno: inizio a descriverlo e a delimitarlo, lo personalizzo per poter lavorare più tardi in un ambiente più adeguato; mi viene in mente un libro di Castaneta dove è essenziale la ricerca del proprio posto.

C’è qualcosa da modificare sotto il materasso: scopro che è il cavo che non va bene e deve essere allontanato dal materassino, però non è facile capire che percorso faccia, comunque in qualche modo lo sistemo e non me ne occupo più.

Qualcosa mi attrae verso l’alto, meglio pulire lo spazio in cui potrò poi muovermi per iniziare il lavoro approfondito sui muscoli e sul resto del corpo.

Arrivano flussi magmatici nei muscoli e tendini, dalle ossa nessun segnale.

Diminuisce e si annulla quasi del tutto la differenza tra il me pensante e il corpo, svanisce il confine: io sono ogni muscolo e articolazione. Posso, anche se con difficoltà, utilizzare sensi diversi dalla vista per percepire l’ambiente. Alcune volte, ma non sempre seguo con i movimenti il ritmo della musica: mi aiuta a rimanere nello stato di ipersensibilità.

Devo muovermi per imparare ad usare le nuove possibilità. Riuscirò a mantenerle anche dopo? Mi piacerebbe molto. Devo in qualche modo fare degli sforzi muscolari anche se non mi sono coscienti tutti i motivi che me li inducono: sicuramente molti sono di carattere esplorativo e riguardano la possibilità di intervenire positivamente su alcuni lievi dolori dovuti all’età.

Quando mi portano al bagno avverto la presenza di più persone, almeno due; capisco che siamo vicino ai gradini dal contatto della mano di chi mi sta guidando: sento l’accompagnatore che sale e allora cerco in qualche modo i gradini.

Non voglio troppo aiuto perché sono attratto dalla possibilità di usare i segnali che mi arrivano alle mani e al resto del corpo.

Mi infastidisce il bisogno di andare al bagno, però la prima volta più della seconda, rimango nello stato “respiratorio” e subisco il fascino del percorso senza la vista: mi disturba la luce, cerco di spegnerla ma non ci riesco; la prima volta ci metto molto perché la pipì non finisce più e spero che gli altri non si preoccupino troppo.

L’esperienza si concentra sul movimento e sulle sensazioni che vanno in ogni direzione e mi aiutano a sciogliere dei nodi muscolari: è come se mi facessi un massaggio da solo senza toccarmi, utilizzando una forza interna o richiamandone una esterna non lo so bene e non riesco neanche a descriverlo.

Potrei supporre di essere entrato in contatto più intimo con l’energia; ritengo inoltre di aver subito il disturbo da qualcosa che è localizzato nello spazio vicino al mio materassino. Questa idea ancora non svanisce: è parzialmente confermata da quel poco che ho visto il giorno dopo sulla respirazione di A., che si trovava al mio stesso posto. Il suo racconto non conferma le mie ipotesi, ma questo non mi convince del tutto di essere in errore. Potrei correggere l’ipotesi in questo modo: in quell’angolo c’è qualcosa che mette in relazione le esperienze con lo spazio e con il movimento del corpo.

Alcune volte riconosco i brani musicali, credo che la cassa vicino a me possa avere un problema che si manifesterà in seguito.

Qualche volta la musica mi disturba nel senso che non aiuta le mie prove, la vorrei diversa.

Nessuna esperienza visiva rilevante: poche macchie in bianco e nero simili a quelle che vedo prima di addormentarmi.

Sono riconoscibili solo un gatto, un teschio che si dissolve rapidamente e una farfalla associata ai movimenti che sto facendo.

Pensandoci dopo, la farfalla coincide con il passaggio da una posizione quasi fetale alla posizione da seduto, come la crisalide che si trasforma: spero sia di buon augurio.

Avverto la presenza di una componente femminile che mi appartiene, è una cosa che in qualche modo conosco e dopo poco svanisce. Forse devo dedicarmi di più al ballo?

Mi rendo conto che non ho bisogno di controllare la respirazione, come se lo stato straordinario non dipenda da questa e agisca autonomamente, ci faccio sempre meno attenzione.

Il bisogno di andare al bagno mi crea il problema del tempo trascorso, a volte ho la sensazione che sia troppo a volte il contrario.

Mi sembra di riuscire a fare movimenti che normalmente mi risultano molto difficoltosi, mi viene voglia di rivedere in seguito una ripresa televisiva e sonora di queste tre ore.

Sudo ho caldo, i guanti alle mani non mi abbandonano mai, a volte diminuiscono di spessore, le emozioni di fondo sono l’euforia delle nuove possibilità e la malinconia di poterle perdere in seguito.

Ad un certo punto finisce la fase del movimento intenso l’attenzione si concentra sui suoni; muoversi meno e iniziare a produrre suono e mettere in secondo piano quello che viene da fuori che non è sempre adatto. Anche ora è la curiosità delle possibilità a intrigarmi: inizio con tonalità gravi, profonde, a me più consone. Dal diaframma alla gola e viceversa: mi vengono in mente i Tuva, riesco a modulare, ringhiare, gorgogliare, si fa luce qualche suono più acuto; mi tappo le orecchie per evitare il disturbo della musica e concentrarmi su me stesso: arriva l’ululato del lupo, chiama a raccolta il branco per la caccia.

Questa identificazione con il lupo l’avevo dimenticata, la ricordo solo ora, sarebbe interessante scoprire il perché.

Una nota, una voce, chiede aiuto o compagnia: diamogliela! Mi serve il fischio per girargli intorno e la voce per rinforzare o seguire all’unisono. E così procedo fino alla fine: se avessi saputo che mancava poco non sarei andato al bagno la seconda volta.

Però a posteriori ritengo che i due viaggetti al bagno sono stati molto “istruttivi”.

Cerco di far capire a Elisabetta che va tutto bene, mi sento in forma, anzi molto più attivo e ricettivo di prima. Mi è venuto il desiderio di provare al più presto la vasca d’isolamento. Non ho mai avuto la sensazione di essere dimenticato. La mia necessità di evitare aiuti, se non indispensabili, è solo dipesa dalla curiosità relativa ai mezzi che ho avuto a disposizione: ho dato per scontato fin dall’inizio di essere protetto da eventuali pericoli e non c’è stato niente che abbia diminuito tale sensazione.

Ho qualche difficoltà creativa per quel che concerne il mandala, quello che rimane sul foglio non è coscientemente riconducibile all’esperienza, butto giù quello che viene senza pensarci molto e senza curare i particolari.

G.

"Nelle prime immagini che sono affiorate, mi sono vista mentre correvo in un bosco, sentivo di dover scaricare un eccesso di energia e non avevo la sensazione né di essere inseguita, né di dover raggiungere qualcosa. Mentre continuavo a correre, mi sono ritrovata sopra una città, ero come sospesa nel vuoto, e vedevo sotto di me molti palazzi. La mia corsa si è poi arrestata tra le lapidi di un cimitero. Le foto delle lapidi erano coperte da reti molto fitte che ho cominciato a staccare per scoprire le immagini (ho fatto un sogno simile molti anni fa e ricordo che, in quel caso, le reti dovevano essere tolte perchè era il mese di ottobre). Poi ho cominciato a pulire le lapidi sentendo che con quel gesto stavo sistemando qualcosa dentro di me, dopo poco mi ha raggiunta mia nonna (io porto il suo nome, lei è morta più di venti anni fa quando io avevo 13 anni) e si è messa ad aiutarmi. Improvvisamente sono apparse delle sagome grigie che sentivo essere le mie incarnazioni precedenti. Quando questa immagine è svanita  ho visto i miei genitori e ho chiesto loro se mi volessero bene. Mi hanno risposto, senza muovere le labbra, che non dovevo, come sempre, pretendere che gli altri mi amassero, ma dovevo io imparare a dare amore. Mi sono vista neonata, mentre mia madre mi allattava e sentivo che lei non mi amava. Sempre neonata, mi sono vista, dall'esterno, sdraiata su una pietra tombale e piangevo disperatamente, allora mi sono avvicinata e mi sono presa in braccio e ho cominciato a "coccolarmi" finchè non mi sono calmata. Poi ho cominciato a percorrere cunicoli intricatissimi che mi portavano verso il basso, mentre io volevo andare verso l'alto. Ogni tanto, vedevo qualche spiraglio di luce: quando era viola, raggiungendola, mi ritrovavo a dover percorrere altri cunicoli, grotte, posti sempre più angusti (in alcuni casi ho avuto la sensazione di sentirmi troppo grande, sentivo come il peso delle pareti su di me), quando la luce degli spiragli era chiara, raggiungendola, mi ritrovavo ad affacciarmi su paesaggi bellissimi, quasi sempre c'erano distese di mare calmissimo e palazzi eleganti, qualche volta erano montagne, una volta ho visto il panorama di Roma. In un'occasione ho visto dall'alto un'isola a forma di cuore. Improvvisamente mi sono trovata in mezzo a un deserto e ho visto un uomo, sapevo che era molto colto e stava collaborando alla costruzione di una piramide, questo uomo mi ha guardata e mi ha detto che non era deluso di essersi incarnato in me e che non dovevo avere questa sensazione. Ho visto la sabbia trasformarsi in prato, sono entrata in una casa e ho trovato una signora anziana con un maglione rosso (io non porto mai abiti di questo colore) che mi ha detto che anche lei non era delusa di essersi incarnata in me e che dovevo in tutti i modi allontanare da me questa sensazione. Poi ho rincontrato mia nonna che mi ha abbracciata e mi ha esortata ad attraversare una porta che si trovava alle sue spalle sulla sinistra, questa porta era luminosissima, incandescente. Non riuscivo a passarci e ho iniziato, con uno scalpello e un martello, a scalfirla, ma non è servito a nulla, anche mia nonna mi aiutava. Ho insistito, aumentando la respirazione, volevo superare quella porta, ma ho visto solo un ponte, un lampione, un uomo e una donna (credo fossi io) e un senso di angoscia e paura, probabilmente sarei finita in quel fiume. Allora l'immagine è cambiata e ho visto un sole come filtrato da una tela, sono andata verso questo sole e ho visto un uomo, vestito come un faraone (anche se in testa portava una mitra), quest'uomo mi ha detto che dovevo assolutamente impegnarmi ad amare le persone, dedicare il mio tempo a loro, aiutare mia madre nei lavori di casa, non schifarmi più della gente, riuscire a mangiare nello stesso piatto delle persone, vincere l'avversione per le ferite, per il sangue, per il vomito. Finito questo discorso mi sono vista scivolare dentro una spirale rosa, al centro c'era un foro e io l'ho superato e mi sono ritrovata dentro il mare. Ho raggiunto il fondale e ho visto un contenitore di cemento con un manico come quello di una valigia. Ho sentito di dover aprire quel contenitore, ma non ci riuscivo. A ogni tentativo fallito, la mia mente si allontanava attraverso mille cunicoli, ma io cercavo ogni volta di tornare là e riprovavo, ma fallivo nuovamente. Sono tornata verso la superficie e ho visto una sfera verde sopra di me con dei fori da cui veniva della luce, ma io volevo tornare sotto e finalmente sono riuscita ad aprire la valigia ed è uscita una sagoma nera che è sparita verso l'alto, ho guardato la valigia e questa era ancora chiusa, quindi ho pensato che fosse stata la mia immaginazione a vedere la sagoma, allora mi è venuto in mente che ci dovessi entrare dentro, credo di averlo fatto, ma l'immagine è sparita lasciando posto a una spirale che andava verso il cielo. Contenta di poter andare verso l'alto, l'ho percorsa tutta e alla fine mi sono ritrovata in una stanza grigia in cui, improvvisamente si è diffusa una luce sul viola, l'ho raggiunta, ho trovato cunicoli che ho percorso fino a che non sono ritornata cosciente. Durante tutta la respirazione ho sentito le gambe e le braccia pesantissime, come incollate al materasso." G.

A.


 Elisabetta, prima di scriverti il racconto dell'esperienza dell'ultima respirazione ci tengo a dirti che da quel giorno altre cose ancora sono cambiate nella mia Vita. Affiancata all'immediata sensazione di pace interiore acquisita grazie a quel "viaggio" è sorta l'esigenza di mantenere sano e pulito il mio corpo "come veicolo prezioso per la mia Anima". Ed ecco che da allora ho provato repulsione per la carne (che già era latente) ed ho deciso di diventare vegetariana. Anche perché facendo questo sento di riuscire a mantenere aperti i canali di percezione. E, come per miracolo ho gettato via quelle pasticche delle quali, e tu lo sai bene, non riuscivo a privarmi, percependole finalmente come veleno. Ora mi alimento bene,  in maniera sana, pranzo e ceno senza  minimamente pensare al peso che avrò l'indomani. Come la vogliamo chiamare questa se non pura guarigione? E ora ecco il racconto della respirazione del 15.9.07: "Ho iniziato a respirare e dal momento in cui non ho più percepito le mie mani è iniziato il mio viaggio. Immediatamente ero nel canale del parto e stavo nascendo consapevole di uscire senza fatica date le mie piccole dimensioni (sono nata di 7 mesi e pesavo 1,2 kg). e consapevole anche di non essere desiderata. Nasco. Sento freddo. So di non aver portato con me qualcosa di importante. Altre immagini davanti ai miei occhi. Sono in mare di notte. Non vedo nulla. Ho paura. So di essere morta annegata. L'immagine cambia. Sono uno schiavo che rema dentro una grande nave. siamo tanti tutti in fila uno dietro l'altro. Mi guardo i piedi, sono sudici e di pelle bianca. Lascio quella scena e sono anima in una grande biblioteca dove sto scegliendo i miei futuri genitori per la mia prossima Vita, questa. Scelgo mia madre. La vedo. Entro in lei. Sono nella sua pancia feto. Mamma è in cucina di nonna, e nonna e una zia la consolano perché lei è preoccupata. non mi aspettava.(scena che ho poi verificato con mia madre essere avvenuta realmente, le ho descritto persino i vestiti che indossavano ed erano realmente quelli). Ora so cosa avevo dimenticato di prendere: LA LUCE. La vedo un fondo ad un tunnel, ne sono attratta. E' blu. Percorro il tunnel, salgo e mi riempio di Luce. E' Luce che guarisce. Una figura mi insegna come usarla e come mettere le mani per donarla agli altri. Tutto mi è chiaro ora. Sono felice, piango di gioia. Sono sempre stata felice di vivere e so che la Vita è una grande opportunità per crescere ed evolversi spiritualmente. Per questo ho scelto di rinascere. Per dare il mio corpo alle anime che vogliono rinascere. So di essere LUCE. Sono di nuovo in viaggio. devo nascere. Nasco ancora ma stavolta ho preso la LUCE. So che lei non mi vuole allora un'altra me, quella che sono ora, abbraccia quella bimba. Sono felice." A.