Questa pagina può essere utilizzata per ospitare testi o contributi di qualsiasi tipo di chi voglia dare il proprio apporto alla diffusione delle tecniche di autoguarigione della R. O.
Intervenite!
scrivere sulla propria esperienza di un seminario di r.o. lo trovo alquanto difficile. posso forse descrivere i ricordi della mia mente ma non certo quelli del mio inconscio, se escludo i flashback delle visioni più chiare fissate e archiviate nell'emisfero più conscio, appunto, della mente stessa. anche descrivere le emozioni provate non è facile, non credo esistano parole tanto adatte ed esaustive da renderle chiare. l'ineffabilità dell'esperienza è per me la chiave d'accesso nella ricerca del sè interiore. descrivere e sforzarmi per farne un quadro leggibile mi spingerebbe nell'antro della razionalità, e ciò potrebbe generare un conflitto con lo scopo dell'esperienza stessa.
non voglio ricordare ma, al contrario, non ricordare e lasciare che solo lo spirito ne tragga beneficio. voglio entrare e perdermi nell'universo dell'inconscio e non permettere che la parte razionale della mente ne colga tratti consentendole di catalogarli e di impedirmi l'accesso da ciò che lei stessa fugge.
vivere un'esperienza come la r.o. è per me combattere se stessi e ciò che l'uomo ha creato come immagine collettiva di sè, cioè di corpi gestiti da corpi, materia da materia, esseri viventi da altri esseri viventi.
ringrazio tutti i compagni di viaggio e in particolare l'amico sergio fonte d'ispirazione e deliziatore di palati.
prego elisabetta corberi o chi per lei di pubblicare questo mio contributo sul sito.
ciao.
a presto.
andrea
un viaggio negli stati alternativi di coscienza
di Momi Zanda (www.webalice.it/kinneris)
Mi chiamo Momi Zanda, ho 47 anni e vivo a Cagliari. Alcuni anni fa, nella speranza di risolvere una serie di disagi che più o meno da sempre caratterizzavano la mia vita, e col desiderio di ampliare la conoscenza di me stesso, decisi di intraprendere una psicoterapia basata sull’ipnosi regressiva. Il 17 settembre del 2001, proprio nei giorni in cui il mondo era scosso dall’attentato alle Twin Towers, arrivai a Roma per iniziare la mia esplorazione negli stati alternativi di coscienza con la mia prima seduta di ipnosi. Come prevedevo, mi scontrai subito con i miei blocchi e le mie resistenze. Il mio scetticismo e la mia razionalità o, detto in altro modo, la mia incapacità di fidarmi di qualcosa che non conoscevo, mi impedivano di entrare in quello stato di rilassamento e di apertura che favorisce la trance. Ero di fronte a un universo le cui coordinate mi erano sconosciute e di cui non capivo il linguaggio, e la mia necessità di mantenere sempre il “controllo” su me stesso e sulla realtà che mi circonda non consentiva che emergessero dal mio inconscio e dalla mia memoria quei contenuti che avrebbero potuto aiutarmi nel mio percorso di autoguarigione. Dopo la terza seduta la mia terapeuta espresse con molta efficacia in una semplice frase quello che da tempo ben sapevo di me stesso: «Lei si è costruito una corazza razionale talmente resistente che ci vorrebbe una carica di dinamite per farla saltare.» Mi suggerì di provare una tecnica di respirazione che secondo lei avrebbe potuto aiutarmi, e la mattina dopo mi ritrovai a casa di Elisabetta Corberi che, visto che mi fermavo a Roma solo per pochi giorni, si era resa disponibile ad accompagnarmi in una respirazione olotropica individuale, al di fuori dei suoi soliti seminari. Ero assolutamente impreparato. Avendo frainteso le parole della mia terapeuta, ero convinto che avrei semplicemente imparato una tecnica di respirazione che mi avrebbe aiutato a rilassarmi meglio e a rendere di conseguenza più efficace l’induzione ipnotica nelle sedute successive. Ascoltando le spiegazioni di Elisabetta compresi invece che mi apprestavo a compiere un vero e proprio “viaggio” nelle profondità di me stesso. Fui dunque preso alla sprovvista — per fortuna! — e questo impedì che le mie solite resistenze si attivassero. Quando la respirazione cominciò, senza pensare a nulla mi concentrai totalmente sullo sforzo di riuscire a seguire il ritmo respiratorio suggeritomi da Elisabetta ed entro pochi minuti quella respirazione apparentemente così innaturale iniziò a venirmi spontanea. Quasi subito cominciai ad avere delle allucinazioni assolutamente realistiche. Volti di vecchi indiani d’america dall’aria saggia e ieratica, e di sciamani africani col viso dipinto, comparvero davanti al mio schermo visivo come se li avessi avuti realmente di fronte a me. La loro apparizione improvvisa fu leggermente inquietante, ma i loro sguardi erano penetranti e benevoli. Pareva volessero dirmi qualcosa. Forse si erano presentati per invitarmi a non aver paura, a lasciarmi andare fiduciosamente a quel rito iniziatico. Ero pronto ad accettare il loro invito. Il viaggio era incominciato. Il respiro fluiva liberamente nel mio corpo, entrando dalle piante dei piedi nudi come un soffio rinfrescante e vivificante. Dai piedi scorreva fino alla testa, come una leggera scossa elettrica, sciogliendo al suo passaggio, con un po’ di difficoltà, i blocchi e le tensioni muscolari. Nonostante avessi gli occhi chiusi vedevo il mio corpo attraversato dal respiro che ben presto divenne un fascio ininterrotto di fibre luminose, verdi e gialle, che mi avvolgeva dinamicamente. Cominciai ad inarcare la schiena, il collo, la nuca, per facilitare lo scorrimento di quelle fibre luminose e lo scioglimento dei blocchi che sentivo in alcune parti del corpo. Elisabetta intervenne discretamente, aiutando quel processo con leggeri massaggi in alcuni punti delle spalle e della nuca. La percezione della mia fisicità era acutissima. Sentivo la musica pervadere il mio corpo e fondersi con esso. Pur restando sdraiato, presi a danzare al ritmo incalzante della musica, abbandonandomi completamente a quel ritmo. Io stesso ero la musica. Molto presto mi resi conto di essere una donna di colore, un’africana. Il mio corpo era diventato femminile, le mie movenze erano femminili. La parte cosciente del mio io, che osservava per tutto il tempo l’esperienza, pensò che si trattasse della memoria di una mia vita precedente, tanto era forte la mia identificazione con le sensazioni e le emozioni di quella donna, ma mi dissi anche che in quel momento non aveva la minima importanza razionalizzare, trovare una spiegazione oggettiva di quel che mi stava accadendo. Continuai a danzare con movimenti sempre più sensuali. Vedevo davanti a me bellissimi corpi nudi di uomini di colore che mi suscitavano un intenso desiderio sessuale, e cominciai a muovermi ritmicamente e sempre più velocemente lasciandomi trascinare in una sorta di danza erotica con uno di loro. Non riuscendo a reggere a lungo quel ritmo incalzante, rallentai la respirazione, e scivolai in uno stato di leggero torpore simile al dormiveglia. Nuovamente volti di vecchi saggi indiani o africani, e maschere tribali, comparirono davanti al mio sguardo. Poi davanti a me si spalancò uno spazio cosmico di una profondità inimmaginabile del quale mi sentivo parte integrante. Da lontananze abissali una figura mi si fece dinnanzi. Era il volto enigmatico di un giovane, o meglio un adolescente, con gli occhi scuri e penetranti, circondato da una luminescenza divina. Mi sorrise e mi guardò con dolcezza, permettendomi di specchiarmi nel suo sguardo. Non potei fare a meno di esultare nell’attimo stesso in cui lo riconobbi, esclamando dentro di me: «È il mio bambino interiore!». Gran parte della mia vita era stata tormentata dalla estenuante ricerca negli altri uomini (io sono gay) di quella che non era altro che una parte di me stesso. Ora capivo che quel bambino era dentro di me, lo avevo ritrovato, mi riconciliavo con lui attraverso quel sorriso e quello sguardo incantevoli coi quali mi si presentava di fronte. Finalmente non ero più costretto a cercare perennemente all’esterno qualcuno che potesse rispecchiare quella parte di me. I volti dei vecchi saggi mi avevano aiutato a ritrovarla nell’unico posto dove andava cercata: dentro me stesso, nel mio sé. Il vecchio saggio e l’eterno fanciullo si erano riconciliati in quella dimensione fuori del tempo e da allora avrebbero finalmente potuto convivere armonicamente senza costringermi a un’impossibile scelta tra l’uno o l’altro. Il volto numinoso scomparve lasciandomi una sensazione di pienezza e di soddisfazione, di unione mistica col tutto. Accelerai nuovamente il ritmo del respiro, consapevole che il mio viaggio era solo all’inizio. Mi ritrovai all’improvviso in un canale oscuro, che mi avvolgeva. Respiravo con difficoltà, mi sentivo soffocare, ero spinto in avanti ma il canale era troppo stretto e non riuscivo ad avanzare. All’improvviso compresi di essere nel canale del parto. Stavo per nascere. Iniziai a spingere con forza con la testa e con le reni per uscire. Non era certo una situazione piacevole ma non ero spaventato, né preoccupato. Sapevo solo che dovevo uscire di là prima possibile. Pensai che mia madre stava soffrendo e quindi dovevo fare in fretta. Spinsi sempre più forte. A quel punto Elisabetta mi posò delicatamente le mani sulla sommità della testa, tenendola ferma. Mi avrebbe poi spiegato che lo aveva fatto per evitare che mi facessi male schizzando in avanti, come spesso succede a chi sta rivivendo quella fase del parto nel momento in cui esce. Io invece interpretai il suo gesto come un invito a calmarmi, e quindi interruppi di colpo l’esperienza. Avevo il corpo indolenzito per lo sforzo fatto, e mi concessi alcuni minuti di riposo. L’osservatore cosciente ne approfittò per riprendere a rimuginare e a elucubrare. «Non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo, non sono riuscito a nascere» si disse con la sua antica tendenza a vedere le cose in negativo e a svalutarsi. Ma subito un’altra voce dentro di me lo contraddisse con decisione: «Ma io sono già nato!» Immediatamente il buio che mi aveva circondato nel canale del parto divenne luminoso. Ero un bambino appena nato. Sentivo le mani e i piedi piccolissimi, come quelli di un neonato. E di un neonato erano anche le smorfie che istintivamente presi a fare con la bocca. «Sono appena nato! È una cosa bellissima!» pensai. Era una sensazione fantastica. Cominciai a tastare il mio corpo con le mani, percependone anche fisicamente la piccolezza. Avevo una voglia enorme di esplorare la vita. Davanti a me vidi distintamente una porta bianca, di un bianco avorio. La porta si spalancò quasi immediatamente su un paesaggio di campagna di fine estate, dove predominavano il giallo e l’oro. Poi mi proiettai a velocità vertiginosa, come un uccello in picchiata, verso montagne boscose e altri idilliaci paesaggi naturali ricchi di acqua e di verde. «Dunque è questa la vita!» pensai. «È davvero meravigliosa.» Provavo una gioia immensa, raramente sperimentata in altre occasioni. La vita mi apparteneva, e io ero dentro la vita. Non c’era nessun problema. Non c’era spazio per ansie e tensioni. Mi sentivo totalmente libero e felice. Anche quando la montagna boscosa che vedevo davanti a me prese fuoco e una lingua di altissime fiamme la attraversò rapidissimamente dal basso verso l’alto, non persi minimamente la mia estatica serenità. Pensai subito alla metafora buddista che paragona la terra a una casa in fiamme, perché così la vedono i comuni mortali, mentre in realtà è la terra del Budda, eternamente tranquilla e indistruttibile. Sapevo che la montagna non stava davvero bruciando e che quelle fiamme non potevano farmi del male perché erano solo le fiamme dell’illusione, immateriali e irreali. Questo pensiero non fece che aumentare la mia gioia. Percepivo l’energia universale che mi circondava. Con le palme delle mani aperte riuscivo a catturarla, e a inviarla come fasci luminosi concentrati sulle persone amate a cui mi veniva da pensare. Mi sentivo unito al tutto, capivo che la mia vita era molto più vasta e più profonda, più ricca e più misteriosa di quanto riuscissi a percepire nella mia quotidianità, e desideravo che chiunque potesse avere quella stessa comprensione e sperimentare quella gioia incondizionata che stavo sperimentando io. Contemporaneamente, ero pienamente consapevole dei limiti del mio ego e del difficile cammino che avrei dovuto fare per riuscire a superarli definitivamente e a stabilizzare nella mia vita quel senso di unione cosmica e quella gioia che in quella condizione alterata di coscienza mi era così facile provare. Sentivo comunque una gratitudine incontenibile per quella vita universale che mi aveva permesso di nascere e che ora mi aveva concesso quella rara e inaspettata esperienza della totalità del mio essere. Uscendo da quella sorta di nirvana, ripresi il contatto con il mio corpo. Fisicamente mi sentivo benissimo, rilassato e insieme pieno di energia. Erano passate due ore e mezzo dall’inizio della respirazione, ma soggettivamente mi erano sembrate meno della metà. Elisabetta mi chiese se volevo continuare o se pensavo di avere già concluso il mio viaggio. Una parte di me pensava di non avere esplorato fino in fondo alcuni dei temi che erano emersi nel corso della respirazione, ma il viaggio era stato indubitabilmente intenso e curativo, un’esperienza di presa di coscienza e di rinascita psichica al di là di quanto avrei mai potuto aspettarmi. Perciò decisi di non strafare. Riaprii gli occhi, mi sedetti prendendomi alcuni minuti per tornare pienamente alla normale realtà e comunicai a Elisabetta che bastava così, che il viaggio per quella volta era finito. Questo è stato l’inizio. Dopo quella prima respirazione ho continuato la mia esplorazione utilizzando sinergicamente la respirazione olotropica e l’ipnosi (oltre che la meditazione buddista che pratico da oltre vent’anni, basata sulla recitazione di un mantra, Nam myoho renge kyo). Come tutte le imprese “importanti”, il mio viaggio negli stati alternativi di coscienza non sempre è stato facile. Ho dovuto scontrarmi con le mie resistenze più profonde, con i blocchi apparentemente inamovibili radicati nella mia personalità, con lo scetticismo, con la paura di “vedere” me stesso per quel che realmente sono. Gradualmente sono riuscito a crearmi una mia mappa personale, ovviamente imperfetta e imprecisa e sicuramente tuttora provvisoria, che però mi ha consentito di proseguire la navigazione. E una scoperta sicuramente fondamentale è stata rendermi conto che gli stati alternativi di coscienza non sono nulla di “anormale” o di fuori dall’ordinario. Sono semplicemente degli stati “naturali” ai quali normalmente non siamo abituati, che non conosciamo e nei quali dobbiamo solo imparare a muoverci per poterli utilizzare nel modo migliore arricchendo così la qualità della nostra vita. Grazie a questa comprensione, dopo un anno dall’inizio del mio percorso le mie esperienze si sono approfondite e ampliate. Ho iniziato a ricordare e a rivivere quelle che sembravano essere delle vite precedenti: un frate medievale, una sacerdotessa egizia, uno sciamano africano, uno schiavo dell’antica Roma, un giovane ebreo berlinese internato nel lager di Dachau, e molte altre. L’ipnosi mi aiutava a esplorare i dettagli e i sentimenti di queste molteplici identità da cui io sono formato, mentre la respirazione olotropica mi permetteva di trascendere la mia finitezza di individuo e di percepire e comunicare con una vita più grande, un mio sé più profondo che di tanto in tanto arrivava a coincidere con il sé universale. Oggi mi rendo conto di avere fatto degli enormi passi avanti nel mio processo di individuazione, nella realizzazione di me stesso e delle mie potenzialità. Avendo sciolto parecchi dei nodi che mi imprigionavano, ho molta più energia a disposizione per affrontare la mia vita quotidiana e portare avanti i miei progetti, ho un approccio con gli altri e con l’ambiente molto più rilassato e fruttuoso, e la qualità della mia vita è migliorata in maniera avvertibile anche dagli altri. Il mio viaggio, ovviamente, continua: ho iniziato a frequentare una scuola di ipnosi di Torino, col desiderio di potere a mia volta accompagnare altre persone nei loro viaggi, pensando che probabilmente non è importante la destinazione, la meta che ognuno si sceglie, ma che per noi esseri umani “il viaggio è la meta”.